Om Mani Padme Hum
Om Mani Padme Hum
Un trekking troppo bello
mercoledì 1 novembre 2000
Sulla via che da Sukhothai ci conduceva prima a Tak e poi a Mae Sot, cominciai a pensare che di fare trekking non e’ che mi importasse poi cosi tanto.
Piuttosto avrei fatto volentieri un percorso giornaliero di rafting, memore della fantastica esperienza in Nepal lungo il fiume TriSulu.
Ma il rafting nella stagione delle piogge da queste parti non è facile da organizzare; non certo il cosiddetto bamboo-rafting che ti viene proposto facilmente, quanto piuttosto un vero percorso di uno o due giorni su gommoni lungo fiumi in piena con rapide di difficoltà decisamente superiori alla media.
Vabbè mettiamoci il cuore in pace e cerchiamo di organizzare un paio di giorni di trekking di media difficoltà.
Mae Sot è un’ottima base per il trekking nelle zone confinanti con il Burma, ma il rischio di beccarsi la malaria è cosi alto da suggerire di proseguire più a Nord verso Mae Hong Son o Pai.
Dunque che si fa questo pomeriggio a Mae Sot? Beh! si affitta una bici e si va in Burma (Myanmar)!! E’ qui che se volete lasciare il passaporto al confine potete trascorrere fino a tre giorni in Burma.
Per questa volta facciamo solo un giro al “border market”, il mercato sotto il ponte sul fiume Moei che separa i due paesi.
Non curanti degli sguardi poco rassicuranti dei Burmesi e Thai di varie etnie ci siamo addentrati nelle zone del mercato lungo il fiume, dove si possono comprare sigarette e whisky di contrabbando a prezzi stracciati e dove si assiste al continuo attraversamento illegale del fiume dei contrabbandieri. La regola è: sopra il ponte le autorità, sotto il ponte tutto è lecito.
Cosi dopo una notte trascorsa in un dormitorio sotto una zanzariera da pavimento ci alzammo prima del levar del sole, per prendere il primo songthaew in direzione Mae Sariang.
Pessima idea, un nuvolo di zanzare ci ricacciò velocemente al riparo.
Si perché questa è realmente zona malarica, come ci rammentava a monito, il centro medico visto la sera prima, dove si poteva effettuare il controllo del plasmodio nel sangue.
Decisi di attendere la luce del giorno che avrebbe ridotto le probabilità di essere punti dalla zanzara giusta.
Sulla strada tortuosa sempre più a Nord, dominata da rigogliosa vegetazione, non fu raro trovare interruzioni causate da frane dove occorreva collaborare tutti per toglierci di impaccio. Questi autisti Thai non sono molto abili e sentii la mancanza del mitico guidatore cinese che ci condusse in Tibet per le desolate ed impervie vie himalayane.
Per fortuna le notizie circa la bassa probabilità di essere rapinati nel tragitto, furono confermate; si perchè dovete sapere che in queste zone confinanti con il Burma fino a tre mesi prima erano frequenti le rapine e solo dopo l’introduzione di vari posti di blocco delle milizie Thai questo viziaccio è stato eradicato (almeno per il momento).
Giungemmo infine a Mae Sariang, splendido paese lungo il fiume, dove si respira la quiete della vita nel Nord della Thailandia, tra monasteri in stile Birmano dove ci si può immergere in esperienze di meditazione buddista hinayana e la pace dei corsi d’acqua.
Mae Sariang merita di essere vissuta per almeno un paio di giorni, ma non abbiamo molto tempo, tra una settimana ci aspetta la Cambogia.
Ho l’impressione che la guest house sul fiume dove dormiremo non durerà ancora a lungo senza interventi di manutenzione straordinaria, che il fiume alla prossima piena se la porti via, ma per stananotte il cielo non minaccia temporali.
La legge di murphy applicata ai viaggi vuole che oggi che non ho voglia di portarmi in giro la mia Pentax, ci siano delle belle foto da scattare.
Stupende scene di vita quotidiana in un monastero in stile Birmano non sono da tutti i giorni, ma i visi sereni dei novizi che discutono tra loro, mentre altri giocano a palla resteranno a lungo nel mio immaginario.
Vabbè andiamo a dormire ma prima vediamo di sistemare la zanzariera che ci siamo portati da casa.
La mattina successiva di buonora siamo partiti per Mae Hong Song con il primo songthaew disponibile, al solito preso appena in tempo.
I 25 chili che mi porto dietro da ormai una settimana comincio a non sopportarli più. Non tanto per il peso in sè, quanto perchè a fare le corse con questa zavorra, si rischia di perdere i mezzi.
Direte voi: alzati mezz’ora prima!!! Non fà per me, rispondo io!
Arrivati a Mae Hong Song per l’ora di pranzo andiamo dritti per il solito giro delle guest house. Questa volta almeno un paio di notti bisogna che ci fermiamo, e se si riesce ad organizzare il trekking occorre una sistemazioni che mi dia sufficienti garanzie per lasciare in deposito i nostri averi.
Alla fine ci siamo fermati in un posto dignitoso e decisamente tranquillo.
La “lady” che gestisce la guest house è molto premurosa e sembra affidabile, mentre il “freelance” che dà una mano e che si occupa dei trekking, dopo un pò che parla e ci informa su come si può trascorrere la giornata, il tipo di trekking che si può organizzare e soprattutto i prezzi, comincia a farmi incazz… e quasi quasi me ne vado, ma purtroppo non viaggio solo e ogni tanto bisogna ascoltare anche gli altri (scherzo).
Qui ho cominciato a scontrarmi con il business del trekking, che da queste parti è la fonte principale di guadagno. Buona parte delle guide e piccole agenzie, nonchè guest house sono tutte dedite allo “spennamento” scientifico dei cultori delle lunghe e faticose camminate (traduzione letterale di trekking).
Comincia una accesa discussione sul fatto che viaggiamo in bassa stagione per risparmiare e che i prezzi dovrebbero essere quindi inferiori. No! è bassa stagione per le camere ma non per il trekking. Anzi visto che in bassa stagione i gruppi che si riescono a costituire sono meno numerosi, il prezzo dei trekking è pure maggiore. Mi incaz.. ancora di più, sarà l’effetto del Lariam???
Mantengo la calma e decido di sfruttare il pomeriggio per esaurire la visita del paese e per meditare sulla proposta di trekking offertaci.
Mae Hong Song è all’altezza delle aspettative, splendidi Wat in stile Birmano, magiche vedute dall’alto della collina del Wat Phra That Doi Kong Mu, gli splendidi Wat Jong visti dal grande stagno al centro del paese, la pace di una serata trascorsa ubriachi di laokhao (rigorosamente 40%, non 35%) sdraiati lungo il grande stagno (occhio alle zanzare).
Decido di fare una giro nei dintorni del paese per visitare le Hot Springs, la grotta dei pesci (lasciate perdere) sacra per gli aniministi, si racconta che chi ha pescato e mangiato una di queste carpe sia morto subito dopo, la cascata di Pha Sua.
Per visitare la cascata cominciamo a fare un pò di trekking e subito mi rendo conto che non ci siamo con il fiato, un’altro pacchetto di sigarette prende il volo, basta questa volta smetto davvero!!!
Esaurita la visita di Mae Hong Song mi rendo conto che la stanchezza accumulata in questi giorni è troppa per affrontare un trekking impegnativo. Fare un percorso di tre giorni e due notti in due giorni ed una notte non è alla mia portata.
Quasi quasi mentre i miei due soci fanno trekking io me ne vado in ritiro per tre giorni in quel monastero in mezzo alla foresta, a pochi chilometri da qui, dove posso immergermi in meditazione.
Ridiscuto il prezzo con la guida riconsiderando un gruppo di due persone anzichè tre, e mi incaz.. di nuovo, il prezzo totale non cambia.
Basta!! Domani partiamo per Pai!!!
Pai si trova più a Nord ed è la base per il trekking dei backpackers di tutto il mondo.
A Pai troveremo sicuramente un pò di gente per organizzare un gruppo abbastanza numeroso da far diminuire il prezzo unitario.
Quella sera non abbiamo molta voglia di girare per cercare un posto dove mangiano i Thai, cosi ci dirigiamo verso il grande stagno.
Ci sono due alternative: un ristorante pieno di turisti da viaggio organizzato con tanto di orchestra, oppure un ristorante semi deserto.
Certi di fare un errore (mai mangiare in un posto poco frequentato!) decidiamo per “la seconda che ho detto”.
Bahh! disinfettiamo il tutto con un bel pò di laokhao.
Sono cosi ubriaco che non mi reggo in piedi. Mi trascino sulla via del letto quando i miei soci, che sto caz.. di trekking vogliono davvero farlo, trovano una piccola agenzia che organizza escursioni nelle foreste e ci si infilano dentro.
Io mi siedo da qualche parte all’aperto, mentre i due discutono le possibilità ed i prezzi. Quando la discussione prende una brutta piega, nel senso che si stavano convincendo, mi trascino dentro anche io.
Vediamo un po’ di che si tratta!
Dunque il prezzo per due sole persone e’ ancora troppo alto, ma in tre il discorso cambia. Chiedo a questo punto se fosse possibile organizzare qualcosa che prevedesse il ritorno lungo il fiume Pai per un rafting su gommoni. Per quanto il titolare dell’agenzia si dimostri possibilista, dopo una telefonata torniamo al solito discorso sulla sicurezza, che il fiume e’ in piena e che il rischio e’ troppo alto.
Ultima domanda: che genere di persorso è, conviene lasciare i nostri averi in custodia o possiamo tranquillamente portarli con noi? Don’t worry, it’s an easy way!! Qualche attraversamento in acqua, ma niente di difficile o pericoloso. Le ultime parole famose!!!!
Insomma alla fine mi sono fatto convincere anche io, il peggio e’ che mi sono fidato sul fatto che si trattava di un “easy trekking” e mi sono portato dietro l’attrezzatura fotografica ed i miei averi.
Bahh! non c’è verso di fare un viaggio all’insegna dello spirito; quale migliore occasione per meditare, di un monastero in mezzo alla foresta???
Sara’ per la prossima volta! Ma quante volte l’ho già detta questa frase?? Ho perso il conto!
La mattina dopo alle 9.00 ci aspettava la guida su di un fuoristrada che ci avrebbe portati su sempre più su, ma quanto si sale? Poi dobbiamo anche scendere, a piedi!!!
Accidenti al laokhao, e’ tardissimo devo preparare lo zaino con la roba da portare per il trekking! Com’è che quando decido di portare poche cose mi ritrovo sempre a riempire lo zaino? Nella mia vita precedente dovevo essere una donna!
Saliamo a bordo del fuoristrada mentre la guida si accende una sigaretta e si mette sul retro insieme alle vivande; qualche uovo, delle banane, del riso e poco altro. Ho capito, se continuiamo cosi, alla fine di questo viaggio avrò perso i miei soliti dieci chili.
Che dire di questa persona, il suo sorriso splendente, l’aspetto di un pescatore tailandese abbigliato da figlio dei fiori, le sue ciabatte infradito con cui avrebbe affrontato le foreste, i guadi, il free-climbing, la sicurezza che infondeva in noi.
Un uomo cosi diverso dalla guida conosciuta il giorno prima. Quello agiva meccanicamente vedendo in noi un portafogli al quale spillare qualche biglietto da 1000 baht, Nui da’ l’impressione che dei soldi non gli importi più di tanto, che guadagnarsi di che mangiare e soprattutto bere portando degli storditi come noi nelle sue foreste, tra i suoi amici Karen, cacciando rane durante la notte, per poi rinfrescarsi la mattina sotto una cascata, sia sufficiente per dare un senso alla sua vita.
Ci dirigiamo verso la piccola agenzia della sera prima, dove lasciamo il grosso del bagaglio in custodia, e dove ci presentiamo un po’ meglio con l’organizzazione e soprattutto con l’amico dei prossimi giorni, Nui.
Ok, e’ giunto il momento di partire.
In corsa sale improvvisamente una giovane donna che dopo un sorriso si accomoda sul retro del fuoristrada.
Percorriamo la via che conduce verso le colline, saliamo per strade sempre più strette dove incrociamo diversi camion carichi di ortaggi che quasi ci travolgono. Dopo un po’ siamo in piena foresta e poi giungiamo in un villaggio con tanto di piccola scuola.
E’ un villaggio Hmong, etnia di religione animista, quel tipo di animismo che nell’usanza funebre del mangiare le ceneri degli estinti, realizza il culto della memoria dei propri cari.
Qui Nui cerca di reclutare qualche volontario per la logistica del trekking, senza successo. Ci dice che servono un paio di uomini per il trasporto del necessario e per le attività di supporto alla nostra permanenza nella foresta durante la notte.
Proseguiamo dunque per l’ultimo tratto a bordo del fuoristrada, ancora più su, sino al punto dove avrà inizio il nostro supplizio.
Scendo dal pick-up, carico lo zaino sulle spalle, stringo lacci e lacciuoli e mi avvio.
Troppo bello, ti sei scordato che di portatori non ce n’è?
Cosi Nui comincia con il distribuire i due litri d’acqua che dovranno bastarci per la giornata, e poi equamente il resto delle cibarie.
L’acqua per il giorno dopo la otterremo bollendo quella dei torrenti.
Lo stretto sentiero lungo il quale ci incamminiamo è una pozzanghera continua, a ridosso di terrazze di terra, coltivate a quelle che mi sembrano barbabietole, o forse sono rape, booh!
Da queste parti siamo al termine della stagione delle piogge, e qui al Nord, regolarmente verso le 17.00 comincia a piovere, e poco dopo il sole tramonta. Abbiamo dunque circa sette ore per raggiungere l’accampamento in mezzo alla foresta dove trascorreremo la notte.
Saltiamo una pozza d’acqua dopo l’altra mentre il passo comincia ben presto a farsi sostenuto. Non si può pretendere che un povero disgraziato che passa 11 mesi all’anno alla tastiera di un computer, a picchiarsi con i “bit”, possa competere con due giovanotti ed un professionista del trekking. Ma non preoccupatevi perchè è solo questione di tempo. Dopotutto novanta chili per un metro e novanta di cristiano, una volta recuperato un pò di fiato, gliela farà vedere.
Beh! per il momento quegli esaltati si stanno allontanando, mentre io cerco di non calpestare troppi ortaggi, visto che e’ da un po’ che camminiamo in mezzo ad un campo coltivato, per giunta in discesa.
Come dice il detto, dopo una discesa c’è sempre una salita. Una salita con vegetazione molto fitta e alta.
Dove sono finiti? Ahh! eccoli, scorgo la testa di Nui. Forse e’ meglio accelerare il passo, non sarebbe saggio perdersi in mezzo a questa foresta sconosciuta.
Il pericolo maggiore sarebbe quel serpentello giallo che se ti pizzica avresti davvero poche speranze di cavartela.
Finalmente li ho raggiunti, il diesel si è riscaldato.
Nui mi sorride e si accende una sigaretta. E’ da ieri sera che non fumo e ci patisco un pò.
Si prosegue in mezzo a quel rigoglio sorprendente accompagnati dal sibilo, che sembra una motosega, di quello che Nui dice essere un grosso insetto che vive nelle foreste tropicali.
Si chiacchera un po’ e scopriamo che Nui ha 38 anni e che è dall’età di 17 che accompagna i gruppi nei trekking. Per anni ha fatto la guida nelle zone confinanti con il Burma, dove si è beccato la malaria per ben quattro volte. In queste zone del Nord della Thailandia invece, la probabilità di ammalarsi è molto bassa e nessun turista accompagnato da lui si è mai ammalato, anzi ci prega di avvertirlo se qualcuno di noi si prendesse la malaria.
Si informa se seguiamo qualche profilassi, e sorride dicendo che non serve a niente, che i farmaci vanno presi solo se ti ammali e che solo la doxiciclina è veramente valida.
Naturalmente quello che ha detto non è completamente vero, o meglio non lo è per noi che non siamo del paese dove è endemica la malaria. Nascere in un paese malarico vuole dire avere una certa resistenza ai ceppi della malattia presenti nella zona, mentre per uno straniero senza profilassi non vi è alcuna resistenza, e di conseguenza il rischio è altissimo.
Lo dimostra il fatto che Nui stesso si è ammalato nelle zone confinanti con il Burma, zone per le quali non aveva nel sangue alcuna resistenza.
Del resto è anche vero che la profilassi non è priva di effetti collaterali e che per alcuni potrebbero essere sufficienti le protezioni fisiche che evitano le punture degli insetti, ed in caso di malaria ricorrere urgentemente alle cure.
Per alcuni ma di certo non per me. Sudo talmente tanto che mi ci vorrebbe un camion di repellenti per sopravvivere.
In ogni caso prima di partire consultare sempre un centro di medicina dei viaggi per un consiglio sulla profilassi da seguire nell’area specifica dove ci si reca.
Una cosa che mi ha fatto un pò male è la riflessione, che l’assunzione come profilassi, dei farmaci per curare la malaria, costringe la ricerca alla scoperta di sostanze sempre nuove, a causa della procurata resistenza degli agenti patogeni alla sostanza stessa, privando le popolazioni che con la malaria ci devono convivere, di una efficace mezzo di cura.
Del resto come si fa a rinunciare al piacere di viaggiare, di incontrare nuova gente, di imparare, di crescere.
A parte le questioni opinabili che sostiene, Nui è davvero una persona amabile, sarà anche parte del mestiere, ma quel suo naturale modo di porsi che non prevarica, quel suo sorriso che ammalia, quello sguardo un pò di scherno che ti fa sentire al sicuro, protetto, tra amici, sono rari e da soli valgono un viaggio fin qui.
Grazie al cielo ogni tanto Nui si fermava per farci riposare. Si sedeva da qualche parte, si accendeva una sigaretta e se la godeva come avrei fatto io, con volutta, con passione, boccata dopo boccata. E poi il fumo tiene lontane le zanzare. Si perchè bastava che ci fermassimo un’attimo che la lotta contro questi maledetti insetti cominciava, mentre incredibilmente in movimento queste non ci assalivano.
Per quanto ami con tutto il mio cuore Dio, nostro signore, penso che una cazz… almeno l’abbia fatta: mi spiegate a cosa servono le zanzare????
A darmi il tormento!!!
Zanzare altrettanto pericolose quelle presenti di giorno, possibili Aedes, insetto che trasmette la Dengue, malattia che può essere più mortale della malaria stessa.
Non corriamo rischi, riempiamoci di Autan.
Proseguiamo per un paio di ore e giungiamo nel villaggio Karen, dove pranzeremo.
Nui ci dice che questa mattina abbiamo percorso una scorciatoia, che i trekking in quest’area che durano tre giorni e due notti arrivano nel villaggio nel tardo pomeriggio, dove trascorrono la prima notte.
Insomma questa tappa era solo per riscaldarci un pò.
Il villaggio Karen è essenziale, segno di una vita semplice a stretto contatto con la natura. Capanne in legno, rialzate dal terreno di un paio di metri, dove in una stanza di trenta metri quadrati circa vivono famiglie non molto numerose, in un via vai continuo di persone. Qualche paravento separa le diverse zone dell’abitazione ed enormi stuoie poggiate sul pavimento fungono da sedie e letti.
In un recinto una scrofa viene presa d’assalto dai suoi piccoli affamati, quasi a divorarsela, mentre qualche animale domestico gironzola annoiato.
Qui al Nord i cani vengono trattati meglio rispetto al resto del regno, e vi sono anche parecchi gatti.
La comunità è composta di circa quaranta persone, in maggioranza giovani donne con i loro bambini, che durante la nostra breve sosta sono passate a salutarci, splendide ragazze dal luminoso sorriso.
Veniamo accolti dal capo villaggio nella sua capanna e fatti accomodare sulle stuoie. Ci viene offerto del thea mentre Nui cerca i due volontari per il trekking.
Dopo un pranzo a base di riso e verdure ci rilassiamo un pò mentre le donne più anziane ci propongono i soliti souvenir, braccialetti e collanine.
Un’improvviso mal di pancia mi assale ed ingenuamente chiedo indicazioni circa il bagno. Nui mi dice che ovunque fuori della capanna e’ un ottimo posto per i propri bisogni.
Faccio appena in tempo a mettermi le scarpe ed a trovare un posticino adatto, che mi sciolgo in uno sfogo estatico.
Il ristorante di ieri sera ha colpito; ottima mossa prima di un trekking.
Vabbè prendiamoci il nostro santo Bimixin e speriamo bene.
Siamo pronti per riprendere il cammino, restano poche ore di luce e dobbiamo fare ancora molta strada.
La foresta si fa sempre più impenetrabile e procediamo lentamente sotto il caldo umido del Sud-Est asiatico.
Io comincio a sudare copiosamente e mi sento sempre più debole.
In brevissimo tempo accuso tutti i sintomi della disidratazione, mal di testa, fiacchezza sulle gambe, crampi e calo della vista.
Fortunatamente sono previste varie soste, cosi riesco ad evitare il collasso grazie a delle soluzioni reidratanti.
Ci raggiungono due uomini del villaggio Karen che pero’ non trasportano nulla a parte il loro macete. Bah! chissà dove dormiremo stanotte?
Uno di questi ha raccolto un frutto che sembra un melone. Lo passa a Nui il quale lo pulisce e ne offre una fetta a ciascuno di noi. Mi sembra di capire che da queste parti si sopravvive con quello che offre la foresta. E’ sufficiente un po’ di riso e di spezie per integrare ciò che la natura fornisce spontaneamente.
Quasi quasi mollo tutto e vengo a vivere da queste parti, in mezzo alla natura, tra persone vere, una vita semplice senza le complicazioni di una società come la nostra dove la dimensione dell’uomo e’ subordinata a quella del denaro, della produzione incondizionata, dell’economia globale, dello stress quotidiano di scadenze, appuntamenti, incontri futili ed amori effimeri.
Beh! prima devo pero’ abituarmi a questo clima che per il momento mi sta ammazzando.
Ci mancavano le mie ginocchia che poco sopportano i continui microtraumi di questa infinita discesa che ci porta verso il fiume.
Grazie al cielo questa volta ho comperato delle scarpe adatte; Dio benedica l’inventore delle suole in “vibrant”.
Ormai ci vedo doppio, ma comincia a farsi buio e bisogna proseguire assolutamente. Solo la forza di volontà mi sta facendo andare avanti.
Eccoci, finalmente siamo all’accampamento! Non ci vedo più, sarà il buio, ma la luce della mia pila mi sembra sfocata ed il mondo mi gira tutto intorno. Mi sembra di essere drogato, e la reazione e’ quella di un pazzo che ride di se’ per non piangere.
Il più anziano dei due uomini del villaggio Karen ci aveva preceduti per accendere il fuoco e bollire l’acqua per il thea.
L’accampamento è proprio lungo il fiume, il cui fragore è cosi intenso che quasi non sento la mia voce, o forse è il mio stato fisico che amplifica i rumori.
Finalmente vedo dove passeremo la notte. E’ un rifugio costruito in bambù con il tetto in foglie di banano.
Deve essere passato un pò di tempo dall’ultima volta che è stato impiegato, perchè il rifugio è ridotto male ed occorre rifare il tetto. Nui e gli altri uomini si mettono subito al lavoro e in men che non si dica è riparato.
Sarà, ma speriamo che non piova, perchè non credo che si rimarrebbe all’asciutto.
A completare il nostro giaciglio, una enorme zanzariera dentro la quale dormiremo al riparo dai miei “amici” insetti.
Non ci credete? Beh! neanche io ci credevo prima di vedere quel piccolo uomo che intagliava una canna di 20cm di diametro, praticando una fessura che l’avrebbe trasformata in una rudimentale pentola a pressione.
Nui e l’altro uomo spariscono nel buio, mentre noi accendiamo delle piccole candele che poggiamo tutte intorno all’accampamento. Quando si ripresentano recano con se’ una ventina di grosse rane. Gli schiacciano la testa sotto i nostri occhi, le infilzano a farne degli spiedini, pronti da cuocere sul fuoco.
Insomma una cena da veri esploratori! Adesso mi spiego perchè questo trekking costava cosi poco.
Quella notte non avremmo dormito molto.
La sistemazione spartana sul canniccio del rifugio, l’umidità che si insinuava nelle ossa, il rumore sempre più intenso del fiume che si ingrossava, non conciliavano certo il sonno.
Nui ed i Karen sono spariti nella foresta, lungo il fiume nell’intento di pescare qualcosa per l’indomani.
Mi alzo e mi siedo vicino al fuoco. Solo, ascolto la voce della natura, selvaggia ed inospitale, matrigna eppure generosa, in un contatto totale con l’essenza dell’universo che e’ comunione con il creato.
Cado in un lucido torpore con i sensi amplificati e lo spirito rapito dalla simbiosi estatica con la natura, quando sento l’approssimarsi di qualcuno. E’ Nui, venuto a ravvivare il fuoco.
Dove sei stato gli domando, “catching frog” risponde lui. Era un simpatico modo di dire che celava l’appartarsi per “fumare” e bere.
Parliamo un po’ e mi racconta che e’ stanco di fare la guida e che smetterà entro un paio di anni: “se la guest-house che gestisco non avrà successo, verrò qui ‘into the wood’ e vivrò con i miei amici Karen. Quando torni vienimi a trovare, chiedi alla Sun Flower Trek Agency, loro sapranno come rintracciarmi”.
Conosco quest’uomo da poche ore, eppure sento una strana familiarità tra noi, come fossimo uniti da una antica amicizia. Antica più della nostra vita, lontana nel tempo, che si rinnova ad ogni incarnazione.
E chissà che non ci si riunisca davvero, scappare dal mondo e rifugiarsi in grembo alla terra, tornare a conoscere se stessi, ricercare dentro di se l’essenza della vita.
Fortunatamente non pioveva sull’accampamento, ma il fiume continuava ad ingrossarsi e si faceva minaccioso.
L’indomani di buonora siamo tutti svegli, indolenziti e umidi come non mai.
Non c’è niente di meglio di una doccia sotto il getto violento di una cascata, per svegliarsi completamente e tonificarsi.
Cosi Nui ci accompagna a vedere quello spettacolo della natura che dalla sera prima sentivamo infrangersi sulle rocce.
E’ una cascata su due livelli.
Brutta bestia l’autocoscienza.
La potenza della cascata, per quanto spettacolare, non presagiva nulla di buono. Nella stagione delle piogge i fiumi trasformano in poche ore i percorsi nella foresta, trasformando un trekking di media difficoltà in un vero e proprio incubo.
Naturalmente la notte trascorsa “catching frog” non ha prodotto alcun risultato, cosi per colazione non ci resta che il solito riso con verdure ed un pò di frutta.
Riempiamo le bottiglie vuote con l’acqua bollita durante la notte, il cui sapore di bambù la rende nauseante, e siamo pronti per ripartire.
Fiancheggiamo il fiume per un bel pezzo quando Nui si rende conto che non è possibile proseguire su questa strada.
Il livello delle acque è tale da rendere impraticabile l’attraversamento del suo corso in sicurezza, cosi dopo vari passaggi a dir poco avventurosi, con i piedi perennemente a bagno, si decide per una via alternativa in mezzo alla foresta.
Ci facciamo strada con il macete in questa selva fitta ed impenetrabile.
Incontriamo alberi enormi del diametro di oltre tre metri, cosi alti da farci venire le vertigini a cercarne la cima. Lungo alcuni di essi vi e’ una rudimentale scala, costruita con chiodi di legno conficcati nel robusto tronco, ed un corrimano di bambù che li unisce. Nui ci spiega che costituiscono degli impareggiabili punti di osservazione.
E’ tangibile la deforestazione dei preziosi alberi di Tek, che un tempo costituivano una preziosissima risorsa di queste foreste. La voracità del mondo e l’avidità dei governi, ha depredato il Nord della Thailandia di questa meraviglia. La fame di denaro dei governi e governanti del Sud Est-Asiatico hanno reso pericoloso avventurarsi nelle foreste dove il Tek è ancora presente, a causa delle compagnie fuorilegge che depredano del prezioso legname, e che non esitano ad uccidere se scoperti. Questo è particolarmente vero più a Nord del paese, nelle foreste del triangolo d’oro, ed ancor più nel Nord-Est della Cambogia, dove il rischio di imbattersi in questi loschi affari è altissimo, vista l’enorme riserva di Tek.
Ogni tanto ci imbattiamo in un enorme lombrico o millepiedi delle dimensioni di un serpente, qualche grosso ragno, ma oltre a questi siamo piuttosto delusi di non incontrare animali selvatici in piena foresta.
Le soste si fanno sempre più brevi e Nui appare preoccupato per aver allungato di molto il percorso.
Dobbiamo assolutamente riprendere la via che ci conduce al fiume, perchè solo attraverso i percorsi tracciati lungo le sue sponde vi e’ una relativa certezza di arrivare in tempo per il calar del sole.
Ma la foresta è sempre diversa. Ci rendiamo conto che Nui stesso ha difficoltà a trovare una via in mezzo alla vegetazione, che qui non esistono sentieri tracciati, e che solo l’esperienza e l’empatia con la foresta possono indicarti la giusta via.
Il nostro incedere si fà sempre più pressante, l’ingombro ed il peso degli zaini è d’intralcio per un celere cammino e la stanchezza sommata al poco cibo assunto cominciano ad essere una minaccia per un trekking in sicurezza.
Giungiamo finalmente in prossimità del fiume, lungo torrenti da attraversare e costoni di roccia da percorrere aggrappati ad invisibili appigli, quando il fragore del fiume comincia a farsi sentire.
Non è davvero un bello spettacolo, visto che il fiume e’ da guadare, ma la sua irruenza e le sue acque limpide sono un’affascinante scenario.
Tronchi d’albero galleggiano e sbattono violentemente sulle rocce, mentre tutto intorno è natura, lungo una gola fiancheggiata da pareti a picco ravvivate dall’intenso color verde della vegetazione.
Camminiamo ancora per qualche metro, quando infine risulta chiaro che è impossibile proseguire su questa sponda.
Ci fermiamo e osserviamo tutto intorno lo spettacolo della potenza della natura che qui e’ sinonimo di pericolo.
Nui ci chiede se abbiamo delle buste di plastica e comincia ad utilizzare le proprie per proteggere i valori che reca con se.
Io ho lo zaino pieno dell’apparecchiatura fotografica e di tutti i miei averi, e l’idea di vederli galleggiare lungo il fiume non mi rallegra molto.
Meno male che ho sempre con me delle grosse buste della spesa, cosi avvolgo tutto al loro interno e poggio le cose più preziose nella parte superiore dello zaino.
Nui intanto ha trovato un punto del fiume dove le rocce ci proteggeranno dai detriti trasportati dalle acque e dalla forza della corrente e si accinge a provarne l’attraversamento.
Prepara la grossa cesta che si porta sulle spalle, riempendola con tutte le bottiglie d’acqua rimaste e qualche pietra, a fungere da zavorra. Il peso lo aiuterà a mantenere l’equilibrio contro l’irruenza delle acque.
Siamo tutti un po’ preoccupati, soli ad affrontare un guado che se va male ci vedrà trascinati lungo un fiume in piena incontro a rocce taglienti in compagnia di tronchi e grossi rami d’albero.
E pensare che era un “easy trekking”! Chissa’ se e’ previsto il rientro tutti intieri da quelli “difficili”?
Nui, aggrappandosi saldamente alle rocce che segnano il cammino verso il centro del fiume, comincia ad attraversare, mentre noi già ci vediamo spacciati vista la difficoltà di quest’uomo a resistere alla potenza della corrente. Le rocce sono terminate e bisogna lasciarsi trasportare dalle acque, camminando lateralmente senza perdere l’equilibrio, verso un punto dove il fiume è più calmo.
E’ un attimo e Nui sembra spacciato! Percorre in pochi istanti una decina di metri nella direzione del fiume incontro ad una grossa roccia, quando recupera incredibilmente il controllo e riesce a porsi in salvo sull’altra sponda.
Tutto bene, tutto bene, ci urla.
Tutto bene un caz.. adesso tocca a noi.
Ci guardiamo in faccia l’un l’altro e si capisce dalla mimica che sarò l’ultimo a cimentarsi nell’impresa.
E’ la volta di S., detto Indiana Jones, per l’abbigliamento da avventuriero e la spavalderia che lo distingue.
Lo vedo proprio male, aggrappato alle rocce, con lo sguardo spaurito che cerca la via del ritorno. Prova due, tre volte e poi rinuncia e torna indietro. La corrente è davvero troppo forte.
Decido di provare io, quando per una sorta di orgoglio, S. tenta per la quarta volta.
Arriva alla fine delle rocce quando si rende conto che tornare indietro sarebbe peggio che proseguire, e con una guizzo si getta verso la sponda opposta. Perde l’equilibrio ed il fiume lo travolge. Taci che forse il tributo di sangue ai demoni della foresta è stato elargito. E invece no, recupera la posizione eretta giusto in tempo prima di sbattere contro le rocce e guadagna la salvezza.
S. ci raggiunge con uno sguardo, un misto di terrore e soddisfazione, e lancia la sfida che in ogni caso dovremo raccogliere.
Il suo socio R., tronfio della sua giovane età, preso coraggio decide di provare. Mi sembra di assistere al sacrifizio di una verginella sull’altare di qualche Dio pagano. Il suo sguardo terrorizzato, le gambe tremanti, l’equilibrio precario nel suo alto ed esile fusto, non sono di buon auspicio.
Affronta la rapida con rassegnazione e come sorretto da una benevola mano angelica, riesce nell’impresa e raggiunge S. e Nui, con gran sollievo per tutti noi.
OK è giunto il momento! Dovete sapere che nella mia vita, sono sempre io a pagare il conto, ed anche questa volta sono pronto al peggio.
Stringo lo zaino il più in alto possibile, attendo che nessun detrito sia in dirittura di arrivo, e mi lancio nel fiume.
La corrente è forte nel breve percorso aggrappato alle rocce, ma il fondo aderisce bene sotto i miei piedi, e facilmente raggiungo l’ultimo appiglio.
Senza esitare proseguo con l’acqua fino al petto, a sfiorare la base dello zaino, e come per magia riesco a vincere la corrente e camminare quasi perpendicolarmente al fiume, fino alla sponda opposta.
Evidentemente i miei oltre cento chili di peso mi hanno agevolato.
Bene questa è andata, ma è solo uno dei guadi che dovremo affrontare, perchè il percorso lungo il fiume si sviluppa a tratti alterni lungo le due sponde.
Il percorso lungo questa sponda del fiume comincia subito ad innervosirmi. Guardo Nui con una faccia che dice chiaramente “dove caz.. ci stai portando”, e lui sorride e candidamente risponde “take your time”.
Vabbè “prendiamoci il nostro tempo” e proseguiamo quest’accidenti di trekking.
E meno male che doveva esserci un percorso tracciato lungo il fiume!? Siamo perennemente aggrappati a qualche roccia nel tentativo di evitare di scivolare nelle acque che sbattono violente contro di noi, mentre procediamo proprio lungo il ciglio della sponda di questo maledetto fiume.
Potrebbe andare peggio, direte voi, potrebbe piovere.
Neanche a dirlo, inizia a piovere!
Anche da questa parte non e’ possibile proseguire a lungo e cosi ci immergiamo nuovamente finoltre la cintola e passiamo dall’altra parte, per continuare per qualche decina di metri e attraversare ancora ed ancora, in una sorta di perverso giuoco al biliardo dove le palle siamo noi ed il nostro masochismo le stecche.
Sono ormai più di quattro ore che camminiamo e dell’arrivo neanche l’ombra.
Nui ad un certo punto si ferma e preoccupato constata che non è possibile proseguire e tantomeno attraversare il fiume se non a nuoto.
Le alternative sono due: o si torna indietro e si allunga di non si sa quante ore, oppure si rischia un percorso di “free climbing”.
Si, avete letto proprio bene, sto parlando di una arrampicata senza corde o ferrate.
Stanchi, senza aver mangiato, con il peso degli zaini, ed incaz…. neri, decidiamo in favore dell’arrampicata.
Nui chiede conferma un paio di volte circa la nostra scelta, e poi si avvia.
Dovevo essere proprio stanco, perchè una decisione del genere in questo stato fisico, corrisponde ad un tentativo di suicidio.
Ben presto ci pentiamo della scelta e ci troviamo di fronte ad una roccia praticamente liscia dove anche l’uomo ragno avrebbe avuto difficoltà ad attraversare.
Ma indietro non si torna, piuttosto se dovessi cadere cercherò di darmi una spinta in avanti abbastanza potente da raggiungere il fiume, cosi da non sfracellarmi sulle rocce sottostanti.
Mi ritrovo quasi crocifisso a questa roccia, a formare una X aggrappato a minuscole sporgenze ed a maledire il peso dello zaino, che con la complicità della forza di gravità, mi spingeva verso il baratro.
Istanti che durano un’eternità, momenti che non si dimenticano, che in qualche modo cambiano la tua vita, perchè se sopravvivi, tuttosommato è proprio vero che non è giunto ancora il tuo momento, che qualcosa ancora devi fare nella tua vita, che è ancora il tempo della speranza.
Con un maestoso colpo di reni ritrovo una posizione in migliore sicurezza, giusto un attimo per poi afferrare un vicino giovane arbusto, che mi darà l’appiglio per superare anche questa prova.
Naturalmente era solo l’inizio perchè risalire questa parete ci darà cosi tante soddisfazioni da farci sorridere al pensiero di certe imprese che hanno cosi tanto spazio in TV, e che invece affrontate con le giuste attrezzature sono un vero giuochetto.
Perchè noi avevamo solo le nostre mani ed il nostro coraggio, con cui abbiamo superato le ataviche paure del vuoto e le insidie della natura.
Riscoprire le proprie forze è un’esperienza davvero esaltante.
E che dire poi di Nui, che riusciva persino ad arrampicare, con le sue ciabatte infradito.
Sarete arrivati finalmente, direte voi!? Niente affatto!
Riprendiamo la via verso il fiume, ed una volta giunti lungo il suo corso, si prosegue ancora una buona mezz’ora.
Ad un certo punto noto delle tracce di un percorso ferrato lungo una parete rocciosa, e naturalmente e’ li che siamo diretti.
Sarà l’ultima fatica, perchè al di là del monte giungeremo in prossimità di una diga, dove avrà termine il nostro trekking.
La ferrata è in buono stato, segno che questo è un percorso impiegato di frequente. Stremati procediamo celermente, poichè a causa del ritardo accumulato, rischiamo di non trovare più ad attenderci il pick-up che dovrebbe portarci a Mae Hong Son.
Infine, dopo ben più di sette ore di trekking arriviamo a destinazione.
Una tappa di quattro ore al massimo è durata quasi il doppio per via delle piogge che hanno stravolto il percorso.
Ma che esperienza indimenticabile, che prova estrema per il mio fisico non allenato, che respiri profondi che riesco a fare visto che non fumo da due giorni!
Ci sediamo e ci guardiamo negli occhi che sorridono, colmi di incredulità e soddisfazione.
Nui tira fuori dal pick-up una bottiglia di laokhao e ci affoghiamo nell’alcool.
Meglio cosi, perchè soffermarsi a riflettere su questi due giorni di continui rischi e pericoli non sarebbe stata una buona idea.
Veniamo raggiunti da un gruppo piuttosto numeroso di Karen, che chiedono ed ottengono un passaggio verso il paese.
Cosi tutti insieme, ebbri di stanchezza e di laokhao, partiamo alla volta di Mae Hong Son, dove ristorarci e riposare un pò.
Ci fermiamo in paese giusto il tempo di mangiare qualcosa e ritirare il bagaglio.
Qui conosciamo la dolce Ton e sua sorella ed insieme trascorriamo qualche istante di pace e di riflessione.
Ton sta ancora smaltendo la sbornia della sera prima, ma il suo sguardo è di ottimo auspicio per la serata.
Qui al Nord pare che tutti bevano un pò troppo, in particolar modo le donne.
Facciamo la scorta di alcool e si parte per le “hot springs”.
Nui mi domanda se me la sento di guidare perchè lui è un pò troppo alticcio, ed io accolgo la richiesta, visto che per oggi le emozioni non sono state abbastanza.
Le “hot springs” sono un ottimo posto dove concludere la giornata con un bagno nelle sue acque calde e sulfuree.
Momenti davvero intensi, intorno ad un tavolo, insieme agli amici di oggi che senti amici di sempre, a raccontarsi di sè e dei propri destini, a figurarci il futuro, tra un sorso di laokhao ed un pò di tamarindo.
Al calar del sole ci immergiamo nelle vasche riempite dell’acqua caldissima che fuoriesce dalle viscere della terra e concludiamo la giornata tra massaggi e canzoni urlate a squarcia gola.
Il Nord della Thailandia ci ha riservato davvero una bella avventura ed ispirato qualcosa da raccontare, in un paese Mae Hong Son che consiglio a tutti come base per i vostri trekking.
Prima di lasciarci Nui ci chiese se ci fosse piaciuto il trekking con lui.
La risposta fu: “è stato un trekking troppo bello”, nel senso che se lo fosse stato di meno, andava bene lo stesso.
Adesso ci aspettano pochi giorni di riposo nella splendida Chiang Mai e poi la vera avventura, la Cambogia.
Le difficoltà di questo trekking sono state di allenamento per quello che ci attende, in un paese pressochè sommerso dalle inondazioni, dove il pericolo e le sfide sono un’affare quotidiano, ma questa e’ un’altra storia.
Elio di Liberandia
Un viaggio con due amici di avventura nel Nord della Thailandia, a cui venne la malaugurata idea di fare un trekking di tre giorni nella foresta intorno a Mae Hong Song.