om mani padme hum
om mani padme hum
Tibet
sabato 5 agosto 1995
Per organizzare il viaggio ci facemmo aiutare da una delle più belle agenzie di viaggi avventura che militava in suolo italiano negli anni ’90, Nouvelles Frontieres Viaggi Avventura un tour operator francese molto valido in allora per i viaggi alternativi.
Andare nel 1995 in Tibet era veramanete un itinerario di viaggio alternativo già solo all’idea, ma non avrei mai immaginato le difficoltà che avremmo dovuto affrontare.
Erano anni che studiavo l’itinerario e che immaginavo davanti a me gli scenari narrati dal Lama Tibetano Martedì Lobsang Rampa, il protagonista e scrittore del libro ‘Il Terzo Occhio’, che tanto mi aveva fatto sognare nell’età adolescenziale.
Immaginavo di vedere i meravigliosi Monasteri di Drepung, Sera, Ganden e il mitico Potala la città stato residenza del Dalai Lama. Il XIV Dalai Lama Tenzin Gyatzo vive ormai da anni in esilio in India dopo la mirabolante fuga che avvenne nel 1959 dopo l’invasione comunista del Tibet iniziata nel 1950 ad opera dei Cinesi.
Ma non immaginavo certo che il viaggio iniziasse con uno stop forzato di una settimana in Nepal a causa delle rivolte che erano in corso nei monasteri Tibetani a causa del rapimento, a cura delle autorità cinesi, del bambino riconosciuto dal Dalai Lama come reincarnazione dell’undicesimo Panchen Lama (la seconda figura politica e spirituale dell’ordinamento tibetano).
Il Panchen Lama nel 1995 aveva solo 5 anni ed ancora oggi ci si interroga sulla sua sorte e di quella della sua famiglia.
(https://www.pressenza.com/it/2019/07/il-panchen-lama-rapito-dalla-cina-e-scomparso-da-24-anni/)
Il Panchen Lama è la figura religiosa che storicamente si occupa di ricercare la reincarnazione del futuro Dalai Lama alla morte dell’attuale e la sostituizone del Panchen Lama con una figura selezionata dalle autorità cinesi, consentirà alla morte di Tenzin Gyatzo di sostituirlo con una persona gradita al regime cinese.
Le rivolte del 1995 causarano molti morti tra i monaci lamaisti del monastero di Tashilumpo a Shigatze dove vennero trucidati dalle forze militari cinesi.
Ricordo l’intenso odore acre che ci ha accolti all’arrivo nella città di Kathmandu in Nepal, ricordo le strade polverose del centro città, le viuzze, le mucche sacre, i negozietti che vendevano di tutto.
Ricordo le agenzie locali che organizzavano i trekking in alta montagna e che vendevano le attrezzature necessarie.
Niente in confronto a quello che è diventata oggi la città di Kathmandu, la porta per i trekking sull’Himalaya.
Durbar Square per una settimana divenne casa nostra e conoscevo a memoria le viuzze polverose che conducevano alla guest house che ci ospitava, viuzze che di notte erano illuminate da fioche lampade e dove sfrecciavano motorini e veicoli a tre ruote alzando polvere e aumentando il senso di nausea che gli odori delle fogne a cielo aperto misto all’odore acre che pervadeva la città era ormai entrato nel naso e non andò via per i mesi a seguire.
L’odore del Nepal, un misto di sporcizia, smog e spezie rimase nei vestiti e nello zaino per mesi anche quando a casa lavammo tutto a dovere.
Tengo a precisare che il Nepal è un paese meraviglioso e ogni angolo e piazza di Kathmandu offre opportunità uniche per nuove esperienze umane e di carattere storico e religioso.
Vogliamo poi parlare dei tentativi quotidiani di vedere la Kumari, la Dea vivente degli Hindu, ebberne riuscii a vedere la Dea bambina alla finestra per pochi secondi e questo fu di buon auspicio perchè dopo qualche giorno partimmo per Lhasa.
Ogni mattina ci aggiornavamo dalle TV locali sugli sviluppi della situazione a Lhasa e organizzavamo escursioni per passare la giornata.
La sera cenavamo alla Nepali Khana con un mix di riso, lenticchie, patate e un pò di carne di pollo o montone e finivamo con il bere un bicchierino di grappa nepalese, bevuta come vuole la tradizione locale in un bicchierino di bronzo dando fuoco al contenuto e ingurgitando tutto di un fiato.
Una mattina la buona notizia fu che i voli per Lhasa erano nuovamente attivi e che il giorno dopo saremmo partiti per il Tibet.
In una settimana le autorità cinesi con l’uso della forza avevano sedato completamente le rivolte e ristabilito l’ordine, fatto sta che i monasteri che visitammo, lamaserie dove risiedevano di solito migliaia di lama, trappa e novizi erano miseramente deserti ma nuovamente visitabili.
Ci venne spiegato che le autorità cinesi non potevano permettere il prolungarsi dello stop al turismo ed agli introiti commerciali che ne derivavano.
Nel 1995 erano già molti i cinesi che avevano stabilito in Tibet i loro affari e commerci e occorreva ripristinare le normali attività. Questo costò tante vite umane di cui troppo poco si parla ancora oggi.
La permanenza in Nepal ad altitudini superiori ai 1.400 metri servì per acclimatarci ed evitare il mal di montagna che può colpire chi giunge a Lhasa direttamente in aereo sbarcando sul tetto del mondo ad una altitudine iniziale di 3.656 metri sul livello del mare.
Mi accorsi che eravamo così in alto quando ci dissero di andare a piedi al 2° piano dell’albergo di Lhasa dove alloggiammo. Quei 2 piani a piedi per raggiungere la stanza con lo zaino sulle spalle mi sembrò incredibilmente faticoso e avevo il cuore iper accelerato.
L’albergo in cui alloggiammo a Lhasa per due notti fu il più bello e pulito che incontrammo in Tibet, poichè per il resto del viaggio dovemmo adattarci in spartane guest house.
Dimenticatevi poi del cibo, in Tibet nel 1995 praticamente non si mangiava.
A parte l’onnipresente tsampa, un sottile pane molto buono e nutriente fatto di orzo tostato e burro di yak e da bere il mitico tè Tibetano al burro di yak, l’unica variante consisteva in qualche verdura cotta e quando fortunati della carne di pollo.
Nei miei viaggi in Oriente ho sempre perso almeno 10 chili di peso faticosamente acquistati nelle diete casalinghe dei mesi prima della partenza, ma in Tibet quell’anno persi quasi 20 chili.
La visita a Lhasa fu entusiasmante e mi riportava alla mente i racconti di Lobsang Rampa nel libro ‘Il terzo occhio’.
Meravigliose le enormi ruote di preghiera sempre in movimento al tempio di Jokhang dove una infinità di pellegrini si prostrava in ginocchio per pregare innanzi alle immagini del Buddha della compassione Avalokitesvara. Le funzioni religiose offerte dai monaci lamaisti sono tra le più belle a cui abbia assistito e non era difficile estranearsi al suono dei mantra pronunciati dai lama e dai suoni delle campane tibetane.
La visita al palazzo del Potala fu veramente intensa e le numerose stanze di preghiera e di meditazione sono indescrivibili e mi lasciarono senza fiato per l’emozione.
Ricordo che entrai in una stanza dove vi era una statua di Padmasambhava, il monaco che portò il Buddismo in Tibet nell’anno 787, e rimasi letteralmente rapito dall’energia che pervadeva quel luogo. Il mio stato emotivo venne notato da un funzionario cinese che sorvegliava la sala e ricordo che suscitai in lui una sorta di irritazione che lo spinse a interrompere la nostra visita in quella parte del palazzo.
Ancora oggi, se ci ripenso, vedo il volto del funzionario cinese trasfigurare in rabbia e provo ad immaginare cosa gli passasse per la testa. L’odio per le religioni è così forte nei funzionari del partito comunista cinese, da procurare in loro questi eccessi anche nei confronti degli ospiti stranieri ? Fu veramente vergognoso, ma vi assicuro che questo episodio non rovinò lo stato estatico in cui mi trovavo, anzi amplificò in me la certezza di quanto potente sia la presenza divina in Tibet.
A proposito di Padmasambhava bisogna ricordare che fu l’autore del libro, tenuto segreto per 600 anni, il ‘Libro Tibetano del Morti’, libro in cui viene dettagliatamente descritto il percorso nel cosidetto ‘Bardo’ che compie lo spirito del defunto prima della successiva reincarnazione.
Il viaggio spirituale dura fino a 49 giorni e in questo periodo in Tibet i familiari aiutano lo spirito del defunto con preghiere speciali fatte da monaci abati specializzati nell’accompagnare telepaticamente lo spirito verso una buona reincarnazione.
Si dice che gli spiriti evoluti non abbiano bisogno dell’accompagnamento telepatico degli abati pochè hanno in sè le conoscenze necessarie per raggiungere il Nirvana o se preferiscono di rinascere per continuare l’opera tra gli uomini.
Il ‘Libro Tibetano dei Morti’, i Sutra del Buddha e il testo sacro ‘La Bhagavadgita’ sono le letture che consiglio di non mancare di leggere per una consapevole crescita spirituale.
L’ultimo ricordo che ho di Lhasa fu il momento in cui mi voltai per guardare da lontano la collina del Potala da un promontorio sulla strada allontanandoci dalla città per proseguire il nostro viaggio verso i monasteri meglio conservati del Tibet.
Quel momento l’ho davanti agli occhi ancora oggi e fu un dolce addio a Lhasa la cittò santa del martoriato popolo tibetano.
Per quando i funzionari cinesi ci avessero trattati bruscamente devo però ricordare con stima il mitico signor Cheng, l’autista cinese che ci accompagnò per le impervie strade di montagna del Tibet su un vecchio camion riadattato ad autobus per trasporto di persone.
Un viaggio veramente duro anche con quel robusto mezzo in quegli anni in cui le strade erano ancora poco asfaltate.
Ricordo quei bambini che ci vennero incontro su un passo di montagna ad oltre 5.000 metri, erano a torso nudo e non avevano freddo mentre noi battevamo i denti con tanto di giacche pesanti.
Si narra che i neonati in Tibet a pochi giorni dalla nascita vengano condotti dai nonni in alta montagna e immersi fino al collo in acque gelide. Quando la pelle diventa di colore bluastro il piccolo viene riportato a casa e se sopravvive vuol dire che sarà abbastanza forte da affrontare le dure condizioni di vita a quelle altitudini, se morirà allora gli saranno state risparmiate inutili sofferenze.
Dura la vita in Tibet.
Il mal di montagna in effetti colpì anche alcuni componenti del nostro gruppo, un giovane ventenne non resse la corsa improvvisa che dovette fare per evitare una mandria di yak che vennero di corsa giù per un sentiero che stavamo percorrendo a piedi e il ragazzo ebbe le palpitazioni per tutto il resto del giorno con grande preoccupazione della sua compagna e del gruppo intero.
Un sessantenne ebbe parecchi episodi di mal di montagna e si reggeva in piedi con una ricetta consigliataci in loco che si componeva di una zolletta di zucchero con sopra alcune gocce di un tonico per il cuore.
Anche D. la mia compagna di viaggio, grande sportiva, ebbe un episodio di crisi da altitudine ma si rimise in fretta scendendo di quota.
L’unico rimedio in questi casi è scendere di quota il più rapidamente possibile ma non era così semplice dovendo percorrere le strade di montagna che erano un continuo sali e scendi quota lungo i vari passi.
Per la cronaca l’altitudine massima raggiunta fu di 5.225 metri con una vista lago mozzafiato e dove erano accampate numerose forze militari cinesi, giovani ragazzi invero che dall’aspetto non ritenevo in grado di atti efferati, alcuni di loro sorridevano imbracciando le armi.
Ci tengo a ricordare la visita al monastero di Tashilhumpo a Shigatze dove vi erano state le epurazioni dei monaci ribelli.
Rimasi da solo per una decina di minuti in una sala di preghiera dove alcuni lama stavano recitando i mantra per i compagni deceduti e ai gong dei tamburi mi si gelava il sangue al pensare a cosa fosse accaduto pochi giorni prima in quel luogo.
Nel cortile un lama indicandoci la zona del monastero dove si praticavano i funerali in cielo, si lasciò scappare la frase ‘chinese bad’, ‘cinesi cattivi’ e come dargli torto.
Le difficoltà nell’attraversare i passi di montagna furono molti, ci trovammo a percorrere un pezzo di strada trasformato in un fiume, rimanemmo bloccati in diversi punti del percorso ed incredibilmente spuntavano dal nulla delle persone (sempre cinesi) con una pala in mano che ci aiutavano a far procedere il mezzo.
L’autista cinese fu veramente mitico a destreggiarsi in queste difficoltà, lode ai lavoratori cinesi silenziosi e indefessi, questo bisogna riconoscere che sia la vera forza del popolo cinese.
I tibetani che incontravamo per le strade erano nomadi che si muovevano a cavallo e che si accampavano con le loro tende nelle valli lungo tutto il percorso verso la località di Tingri fino al confine con il Nepal.
L’ultima emozione ci venne incontro a pochi chilometri dal confine con il Nepal, ad un certo punto non potemmo più proseguire con il nostro mezzo a causa delle numerose frane che erano avvenute nei giorni precedenti dove erano anche morte alcune persone.
Proseguimmo così a piedi con gli sherpa che portavano i nostri bagagli.
Scendemmo a piedi il crinale di un monte fino a raggiungere un punto dove vi era una frana vastissima che percorreva almeno 500 metri di strada e dove continuavano a cadere massi enormi senza soluzione di continuitò.
La giornata precedente ci fu detto che morirono alcuni sherpa nel tentativo di attraversare la frana.
Noi aspettammo il giorno dopo per tentare la sorte e quella notte fummo ospiti di una guest house piena di gente impaurita.
La guida tibetana si informava continuamente sulle condizioni della frana e la mattina dopo ci incamminammo verso l’inizio della frana dove ci attendevano gli sherpa con i nostri bagagli.
La tattica usata fu quella di legare ognuno di noi per i polsi a due sherpa che ci avrebbero aiutato nel caso fossimo scivolati.
Con D. optammo per un solo sherpa poichè ci sembrava più sicuro e procedemmo in fila indiana uno dopo l’altro e abbastanza distanziati facendo attenzione a non scivolare e ai massi che cadevano.
Ammetto che non fu molto divertente e non fu neanche piacevole essere caricati bruscamente su dei camion insieme ai bagagli e condotti in fretta e furia verso il paese più vicino in territorio Nepalese.
Arrivati in Nepal e dopo essere stati alloggiati nella peggiore Guest House di questo incredibile viaggio, D. ed io decidemmo di fare una passeggiata nel paese e dopo pochi passi nel fango D. pronunciò l’indimenticabile frase ‘la faccio una foto a questo schifo di posto ?’, al che mi misi a ridere pensando a tutto quello che avevamo rischiato e ricordando Bruce Chatwin quando scriveva : ‘Che ci faccio qui ?’.
Come chiudere questo racconto se non ricordando ancora una volta le lotte per l’indipendenza del Tibet e gli innumerevoli lama immolatisi per la causa del Tibet.
La libertà di culto è un diritto di ogni essere umano e non esisterà mai pace nel mondo se non capiremo che le differenze religiose non esistono, che tutte le religioni hanno in realtà origini comuni, che Dio è uno e che ci ama tutti indistintamente.
Le guerre fatte in nome Dio sono solo guerre fatte da uomini ingordi, primitivi ed ignoranti.
Le dottrine non religiose invece che non ammettono un Dio portano solo buio e ulteriore ignoranza poichè la speranza in una preghiera e le invocazioni fatte ad un essere supremo sono questioni intime di ogni uomo e che NON DEVONO assolutamente interessare le politiche mondiali.
Elio di Liberandia
Nel lontano 1995 decisi di fare il viaggio più difficile della mia vita di viaggiatore ed affrontai gli oltre 5.000 metri di dislivelli che separano i diversi monasteri Buddisti sparsi per il favoloso Tibet.